Il suicidio rappresenta una delle principali cause di morte nel mondo. Il corpo diventa megafono di un dolore che non trova altra espressione. E' un fenomeno trasversale a tutte le età e classi sociali, anche se l'adolescenza è un periodo particolarmente vulnerabile perchè pone fine all'onnipotenza infantile; le trasformazioni corporee comunicano che non si è immortali e quindi esiste la possibilità di darsi volontariamente la morte.
Qualsiasi azione e sintomo è comunicativo, ciò non significa banalizzare gesti autolesionistici o tentativi di suicidio come puramente dimostrativi e richieste di attenzione. Il sintomo lenisce un dolore interiore profondo, forme di sofferenza che spingono a trovare "soluzioni" anche terribili, estremo tentativo per non impazzire di dolore. Gli altri sovente si sentono impotenti di fronte ad un dolore così forte, che richiede innanzitutto la possibilità di mettersi in ascolto e dare la possibilità di esprimerlo, senza precipitarsi a trovare soluzioni che non sono altro che una fuga da quella intollerabile angoscia. Il primo atto terapeutico è allora proprio l'ascolto, la legittimazione di un dolore profondo, della sofferenza come esperienza del vivere.
Più che cercare un unico motivo a tale gesto, ha senso parlare di fattori precipitanti, unici, soggettivi e contemporaneamente multipli, per cui sarebbe sbagliato limitarsi ad una lettura univoca che non consentirebbe di comprendere adeguatamente la problematica e di pianificare delle strategie di intervento efficaci. Ciò premesso, possiamo affermare che il timore di deludere, la perdita di speranza (dis-perazione), la percezione di non farcela nel presente nè nel futuro sono alcuni elementi ricorrenti. Desiderio e attesa sono assenti. Il tempo è destrutturato: il passato invade il presente e divora e annienta il futuro.
La tematica del suicidio pone inevitabilmente anche la questione del vissuto di chi rimane, familiari e amici, laddove al dolore, ai sensi di colpa per non aver capito, non aver fatto, non essere stati abbastanza, si aggiunge tuttora uno stigma sociale, per cui questo lutto viene vissuto in silenzio e diventa un segreto di famiglia.
E' necessario invece parlare del suicidio, a qualsiasi età, accettare e stare dentro al dolore e alla morte come parte della vita. Parlarne non induce - come erroneamente si crede - pensieri suicidari in un individuo, ma al contrario permette di creare lo spazio di simbolizzazione necessario per poter esprimere la sofferenza a parole anzichè agirla con i gesti.
Se un amico o un familiare ha ideazione suicidaria, è opportuno incoraggiare la persona a rivolgersi ad un professionista della salute mentale affinché possa iniziare un percorso di psicoterapia che gli consenta di lavorare con quella parte di sé che vede il suicidio come unica strategia per fronteggiare il dolore mentale.
A seconda del livello di rischio suicidario, occorre altresì mettere in atto azioni volte alla messa in sicurezza della persona, fosse anche il ricorrere all’ospedalizzazione o al contattare i servizi di emergenza qualora il rischio di togliersi la vita rappresenti qualcosa di imminente.
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